Onorevoli Colleghi! - Il dibattito in merito all'impiego di organismi geneticamente modificati (OGM) in agricoltura e nell'alimentazione umana e animale è tuttora molto acceso e interessa trasversalmente i diversi attori della filiera alimentare e la comunità scientifica. Un ampio fronte di organizzazioni rappresentative degli agricoltori, delle imprese della trasformazione alimentare e dei consumatori ha a più riprese promosso anche nel nostro Paese iniziative tendenti a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle conseguenze che potrebbero verificarsi nel sistema agroalimentare nazionale a seguito dell'introduzione delle biotecnologie in questo campo, in una situazione di perdurante incertezza del quadro scientifico e senza valutare adeguatamente le specificità della situazione italiana.
      Peraltro una serie di provvedimenti dell'Unione europea e di alcuni Stati membri lasciano presagire una imminente apertura del quadro comunitario alle sementi geneticamente modificate senza che sia stata ad oggi definita compiutamente la questione della cosiddetta «coesistenza» fra colture OGM e produzioni convenzionali e biologiche. L'approvazione dei nuovi regolamenti comunitari in materia di alimenti e mangimi geneticamente modificati, nonché in merito alla tracciabilità ed etichettatura dei medesimi (regolamenti (CE) n. 1829 e n. 1830 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003), le procedure autorizzative in corso presso il Comitato scientifico dell'Unione europea e l'Autorità europea per la sicurezza alimentare, i provvedimenti di apertura ad alcune specifiche colture annunciati dai Governi spagnolo e inglese, rischiano di produrre effetti a catena anche nel nostro Paese, in assenza di un chiaro contesto nazionale di riferimento e di garanzia per la netta separazione delle filiere e la tutela delle produzioni di

 

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qualità. In tale ambito occorre inoltre tenere conto delle iniziative già assunte autonomamente da alcune regioni che hanno emanato provvedimenti di tutela preventiva del territorio di loro competenza.
      L'Italia presenta del resto un sistema agroalimentare unico, fortemente interconnesso con i contesti territoriali e culturali delle varie regioni del Paese. La nostra produzione si è affermata nel mondo per la qualità: i prodotti certificati a vario titolo, a denominazione di origine protetta, classificati come tipici e tradizionali od ottenuti con il metodo biologico, costituiscono una realtà in crescita vertiginosa, la più efficace «carta vincente» che l'agroalimentare italiano può giocare in uno scenario internazionale tendente alla globalizzazione e all'appiattimento del gusto.
      Questa qualità diffusa della nostra produzione ha origine nella peculiarità del sistema produttivo. L'agricoltura italiana è esercitata su un territorio a forte variabilità pedologica e climatica, con notevole incidenza di aree collinari e montane, con una superficie aziendale molto parcellizzata e con una stretta interazione fra aree coltivate e aree naturali e boschive.
      Rischiamo, a nostro giudizio, di incorrere in un errore irreversibile immaginando a priori una «coesistenza» fra colture geneticamente modificate, convenzionali e biologiche in contesti di questo genere, che hanno una particolare storia e configurazione produttiva. Le stesse misure di prevenzione che suggerisce la Commissione europea nella raccomandazione 2003/556/CE 23 luglio 2003, per assicurare la segregazione delle filiere e impedire la contaminazione, configurano costi insostenibili per l'intero sistema agroalimentare se applicate in realtà dove l'intreccio fra qualità certificata delle produzioni, origine territoriale della materia prima e biodiversità costituisce il valore aggiunto decisivo per l'affermazione nel mercato, e non garantiscono una reale affidabilità.
      L'applicazione del principio di precauzione, sancito dall'articolo 174 del Trattato istitutivo della Comunità europea, ci sembra inoltre doverosa in riferimento all'ingegneria genetica applicata al comparto agricolo, una tecnologia ad oggi tutt'altro che consolidata e affidabile come sostiene una insistente propaganda di parte. Una ampia corrente del pensiero scientifico in materia sottolinea infatti l'inefficacia del modello riduzionistico applicato al rapporto geni-sistemi viventi, rappresentando con preoccupazione che la complicata rete di processi interattivi che connette i geni fra loro e l'intero genoma all'organismo vivente e al suo ambiente, non viene indagata nei procedimenti che oggi conducono alla creazione e alla commercializzazione di piante geneticamente modificate. Solo per restare all'ambito di più diretta pertinenza degli OGM attualmente presenti sul mercato internazionale vengono evidenziati i seguenti rischi:

          1) i transgeni delle varietà resistenti agli erbicidi possono diffondersi fra le piante selvatiche e fra le erbe infestanti, generando nuove varietà particolarmente dannose per le coltivazioni;

          2) la contaminazione della biodiversità può portare alla perdita definitiva delle caratteristiche di unicità di molte specie;

          3) le colture ingegnerizzate per produrre autonomamente i pesticidi possono incentivare l'evoluzione di ceppi resistenti di insetti.

      L'evidente sottovalutazione di queste problematiche e la carenza di una ricerca scientifica orientata a indagare l'impatto ambientale degli OGM hanno origine del resto dal forte condizionamento esercitato sulla materia dalle poche grandi compagnie multinazionali titolari dei brevetti sul genoma, mentre scarse ed episodiche sono le risorse messe a disposizione della ricerca pubblica.
      La proposta di legge si prefigge pertanto di improntare alla cautela la politica del nostro Paese in materia di biotecnologie applicate all'agricoltura e all'alimentazione. L'articolo 1 richiama espressamente

 

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il citato principio di precauzione ed elenca i valori fondamentali che la Repubblica tutela per garantire la sicurezza e la qualità della propria produzione agroalimentare. L'articolo 2 dispone il divieto di coltivazione e di allevamento di OGM sul territorio nazionale e prevede la possibilità per le regioni e per le province autonome di Trento e di Bolzano di adottare provvedimenti per la salvaguardia delle produzioni tipiche biologiche e a denominazione protetta. L'articolo 3 pone il divieto di utilizzare nella preparazioni di prodotti a qualità regolamentata (DOC, DOCG, IGT, DOP, IGP, biologici) materia prima agricola, mangimi animali e additivi contenenti OGM, pena l'esclusione delle imprese interessate dalla possibilità di utilizzo dei relativi marchi. L'articolo 4 concerne la ristorazione collettiva scolastica e sanitaria: in relazione alla particolare vulnerabilità dei soggetti destinatari viene stabilito il divieto di somministrare in tali ambiti alimenti contenenti OGM e l'obbligo dei soggetti gestori di verificare adeguatamente il rispetto di tale prescrizione. L'articolo 5 contiene gli indirizzi in materia di ricerca scientifica con particolare riferimento alla priorità assegnata alla valorizzazione delle risorse genetiche autoctone; sono inoltre definite severe limitazioni territoriali per prevenire il rischio di contaminazione derivante da eventuali iniziative sperimentali di coltivazione di OGM, autorizzate ai sensi della normativa vigente in materia di biosicurezza e ammissibili solo previo consenso preventivo dei comuni interessati. L'articolo 6 disciplina l'intervento delle associazioni di rappresentanza degli agricoltori, dei consumatori e ambientaliste nel sollecitare le azioni di tutela e nei procedimenti in sede di giurisdizione amministrativa. L'articolo 7, infine, fissa le sanzioni e rafforza l'attività di vigilanza e di controllo sul territorio prevedendo il coordinamento di tutti gli enti competenti.
 

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